L'ARTE RACCONTATA AI COMPAGNI |
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Traccia per la narrazione di Giugno . 2017
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A margine di una precedente relazione di qualche anno fa, intitolata Una cosa che chiamiamo arte, sono scaturite alcune ulteriori riflessioni orientate a comprendere come anche nelle arti visuali si svolgono e si rintracciano i processi evolutivi e dissolutivi che stanno accompagnando il modo di produzione attuale verso la sua estinzione. Nell’incontro verranno proposti alcuni argomenti e temi specifici adatti ad illustrare tale particolare dissoluzione - ovviamente, tenendo come implicite tutte le analisi già svolte e definitivamente acquisite circa la generale dissoluzione dell’attuale forma sociale. Qui di seguito riportiamo la traccia per la "narrazione" del 10 giugno. ESTINZIONE DELL'ARTE O ARTE DELL'ESTINZIONE? Un Preambolo Durante uno degli ultimi incontri settimanali tramite Skype è accaduto che un nostro compagno ci informava che non sarebbe stato presente alla riunione successiva perchè doveva andare a Firenze a vedere la mostra di un artista contemporaneo; e con l’occasione si è parlato un poco dell’arte attuale e di questo artista, scambiandoci qualche opinione al riguardo. Capita a volte di interpellare qualcuno chiedendogli il parere su una determinata mostra o su una particolare “opera d’arte”. Se notate un certo imbarazzo che accompagna la sua risposta è probabile che ciò sia dovuto al pericolo che corre, ossia al rischio di esprimere un parere che facilmente si trasforma in un giudizio sul gusto di chi lo ha richiesto. E’ una situazione non gradevole da gestire, se il punto non è il giudizio critico ma il gusto personale, che ognuno si è formato e custodisce gelosamente. Ora, si da il caso che qualche anno fa è stata già svolta una lunga ed estesa relazione sull’arte, che si era tentato di riprendere per sistemarla in una pubblicazione. La sistemazione di quel parlato non siamo riusciti ancora a farla, ma nel rileggerlo sono state stimolate delle problematiche, delle riflessioni, delle considerazioni o delle digressioni ulteriori sull’arte in generale e particolarmente su quelle che una volta venivano dette Belle Arti: pittura, scultura, architettura, ecc.. Non volendo lasciare queste prime notazioni allo stato di intuizioni vaghe, un successivo ricorso a riferimenti bibliografici e altri documenti hanno ampliato il materiale in un elaborato difficile da riassumere in una unica relazione, e forse non sarà possibile esaurirne tutti gli argomenti neppure in più riprese... Certamente a tutti noi basterebbe ciò che è stato già fatto, o anche poche frasi - come ad esempio quelle contenute nel testo sulla Genesi dell’uomo-industria [1] - per sistemare l’intera faccenda dell’arte in modo definitivo e passare ad occuparci d’altro. Tuttavia, considerato che di tanto in tanto continua a far capolino nelle nostre riunioni il tema dell’arte, ci siamo decisi a proporre una presentazione sommaria di questo semilavorato, scegliendo alcuni paragrafi che potessero illustrare come anche nell’arte moderna e contemporanea si svolgono e si rintracciano quelle stesse dissoluzioni che accompagnano il modo di produzione capitalistico verso la sua estinzione, e cogliere - se ce ne sono - quegli elementi che anticipano la società futura anche nell’arte e nel piacere estetico di godere. Per questa occasione ci aiutiamo a partire tenendo conto proprio di un brano estratto dal testo citato sull’uomo-industria, e precisamente là dove si dice che
Troviamo qui gli enunciati entro i quali vorremmo mantenere la nostra relazione di oggi, ossia: Rinascimento elettronico: parodia o rivoluzione?
... potremmo anche precisare che oggetto dalla nostra analisi è la produzione materiale dell’arte - se non fosse troppo ambizioso un compito così annunciato. Ma dobbiamo abbassare le penne, e iniziare avvertendovi che non ci ha interessato affatto porci la domanda metafisica: cosa è l’arte in generale (come fosse un ente assoluto), ma farci la domanda materialista di come è concretamente l’arte di oggi; contando di poterla trattare con procedimento induttivo, risalendo cioè dal particolare al generale, o con modalità empirica, come per esempio adesso iniziando a partire dall’esperienza che potrebbe raccontarvi quel nostro compagno... se è poi andato a Firenze per vedere a Palazzo Strozzi quel Rinascimento Elettronico annunciato dall’artista americano. Possiamo comunque darvene un’idea, visionando assieme a voi una rassegna di immagini che abbiamo preparato; ma potete anche farvene un’idea in seguito, cercando le immagini di questo artista sulla rete web – in particolare quelle che si riferiscono ai lavori esposti a Palazzo Strozzi, ma anche a quelli installati nel 2014 nella cattedrale di Saint Paul a Londra.
E in questa mostra il passato è citato letteralmente nelle opere stesse di Viola e nella loro collocazione: il rinascimentale Palazzo Strozzi con dentro i quadri rinascimentali è appunto il passato dell’arte.
Se in questo recente lavoro del video-artista americano ci troviamo davanti ad una parodia dell’antico sub specie elettronica, potremo anche deciderlo continuando a leggere dal 18 Brumaio:
Non vogliamo arrivare ad una risposta circa il carattere di queste specifiche opere; intendevamo soltanto accennare alle problematiche che possono presentarsi quando l’osservazione è condotta sul filo della nostra letteratura. Quello che invece volevamo anzitutto farvi presente è la diversità con la quale viene messa in mostra la pittura di ieri e di oggi, e richiamare nella vostra memoria le infinite varietà di oggetti e prodotti esposti in musei o gallerie d’arte. Sapete tutti che spesso in questi posti vi si trovano oggi giorno dei veri motori e altri prodotti d’uso comune, posti tuttavia sui piedistalli istituzionali del capolavoro; vi avrete anche visto corpi vivi di uomini o animali, esposti tutti indifferentemente per ottenere la medesima considerazione e deferenza richiesta per le opere antiche, classiche o tradizionali.
E noi cercheremo di guardar meglio, adeguandoci al contegno critico che l’arte moderna sembra richiedere. Ma è anche possibile che dall’incursione su questo terreno scivoloso e poco praticato dalla nostra letteratura, alla fine ne usciremo con una deludente lista di questioni irrisolte: si tratterà nel caso di verificare se almeno tali questione sono state sistemate nei termini corretti ai nostri fini. Tralasceremo ovviamente di ripetere quelle cognizioni generali comunemente acquisite dalle varie trattazioni di scuola marxista - la quale fa dipendere ogni produzione materiale o immateriale da cause del tutto reali, dallo sviluppo dei mezzi di produzione a disposizione della società, e non da cause mistiche o dalla natura dell’infinito dello spirito assoluto, eccetera, eccetera...[10]
Sappiamo già che per noi la risposta va cercata nel passaggio cruciale dall’industria umana alla merce, con il quale tutte le certezze acquisite in precedenza prendono a vacillare per trovare concordanza col modo di produzione capitalistico che avvia dei processi di revisione nei vecchi criteri in fatto di arte.
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L'oggetto artistico e la sua riconoscibilità
Tutti noi sappiamo bene a cosa ci riferiamo quando usualmente parliamo di arte figurativa, di scultura o di pittura. Ne abbiamo tutti fatto esperienza dentro e fuori dai musei, e altri esempi li vediamo appesi proprio alle pareti di questa stessa stanza. Per il momento vogliamo fare il possibile affinché l’oggetto della nostra conversazione si possa limitare alla produzione materiale di quelle opere che convenzionalmente chiamano “opere d’arte”, e che, nella loro massima espressione ed esemplarità, sono raccolte nei Musei d’arte antica, moderna o contemporanea. Questo discorrere su un luogo comune potrebbe apparire inutile, ma serve a considerare che abbiamo tutti la necessità di mettere ordine nelle serie degli oggetti percettibili ai sensi per dotarci della facoltà di discernimento nei riguardi degli oggetti che affollano il mondo. In ambito artistico, istituzioni pubbliche o accessibili al pubblico (come ad esempio i Musei o le chiese, le botteghe antiquarie, le collezioni private o le rassegne di arte, ecc.) rappresentano tuttora le principali fonti di informazione per regolare questa facoltà sulla base di analogie formali con gli oggetti che in questi luoghi autorevoli e stimati vengono esposti all’ammirazione del pubblico o dei fedeli. E’ qui che il senso comune attinge e trova conferma della validità dei canoni e requisiti per mezzo dei quali distinguere senza esitazioni, tra tutti gli oggetti della vulcanica produzione di merci, un qualunque artefatto d’uso ordinario da un oggetto estetico, e questo da un’opera d’arte, un tessuto stampato da un dipinto ad olio, un suppellettile da una scultura, una pressa idraulica da un monumento, il padiglione di una fiera da un’architettura, ecc. Tuttavia, nonostante il suo dominio materiale e spirituale, economico e ideologico, alla borghesia e ai suoi ideologi l’arte del XX secolo è iniziata procurando dei grattacapi proprio a questa elementare attività di selezione richiesta allo sguardo immediato.[11] Una recente storia dell’arte del ventesimo secolo [12] si apre con l’episodio di una controversia giuridica del 1926 tra l’amministrazione delle dogane statunitensi e un collezionista americano che aveva acquistato “L’uccello nello spazio”, una scultura di Costantin Brancusi esposta con circa altre venti sculture alla Galleria Blummer di New York. Si trattava in breve di stabilire la tassa su un oggetto di dubbia identità che aveva passato la dogana senza voler essere riconosciuto dall’amministrazione come un’opera d’arte, e quindi classificato e registrato come “arnese da cucina o supporto da ospedale”.[13]
Così il giudice americano ha dovuto puntellare una fragilità dei criteri estetici canonizzati ricorrendo ad una categoria non estetica ma sociologica: l’opinione del mondo dell’arte.
Così ora, l’opera d’arte contemporanea può essere conosciuta, nella sua genericità di oggetto e di cosa, sostanzialmente alla sola condizione di essere ri-conosciuta a priori come opera d’arte; pre-giudicata e messa così al riparo da tutti gli altri oggetti del mondo. La sentenza del giudice americano risolveva un problema fiscale, ma poneva un dilemma filosofico che continua tuttora ad essere dibattuto dall’estetica contemporanea.[15]
Già con gli Impressionisti, ai valori di tradizione e continuità vengono sostituiti quelli di innovazione e rottura, e inizia a formarsi un paradigma generale che richiede all’arte e agli artisti la rottura degli schemi; rotture che diverranno sempre più continue e incalzanti.
E il doganiere americano Mr. Kracke ha preso un abbaglio, o nella forma pura di Brancusi ha visto giusto lo zampino dell’opera levigatrice della macchina, che dissolve i tratti naturalistici, e della merce, che dissolve i valori sociali dell’arte figurativa? A questo punto dovremmo domandarci in quale misura e con quali modalità la merce e la produzione industriale delle merci hanno partecipato alla determinazione delle forme e agli sviluppi formali dell’arte moderna - ma non è questo il momento di affrontare la serie di tali argomenti. Vogliamo invece farvi notare che le rotture sostanziali del corso dell’arte moderna si sono sincronizzate tutte nei primi due decenni del ‘900, proprio nel periodo finale di quella che non a caso è definita la Belle Époque della borghesia moderna, e a ridosso della rivoluzione d’ottobre, che aveva mosso la macina della rivoluzione sociale... Dopo di che c’è stato ben poco più di qualche variazione significativa, e oggi assistiamo forse solo ad una spettacolarizzazione [20] degli originali sviluppi artistici dovuti a quelle avanguardie storiche che forse si sono presentate prematuramente... Dal secondo dopoguerra in poi negli ambienti opportunisti, dominati dal culturalismo e dall’intellettualismo organico dei partiti nazionali, mercificazione e spettacolarizzazione erano i termini che esprimevano un modo riprovevole di fare arte e dunque da combattere ideologicamente. Ma non avevamo forse stabilito che “la vera divisione è nel passaggio dall'industria umana alla merce”? Poteva forse l’Arte rifiutare il passaggio? Come scandalizzarci, allora, e partecipare a certi biasimi controrivoluzionari se l’Arte di un’epoca si è concessa interamente all’ordine sociale della sua propria epoca per condividerne il destino? Dovremmo piuttosto inseguirla sul riprovevole terreno della merce, dove finalmente è scesa, per costringerla a dirci tutto ciò che ci serve ancora di sapere prima di seppellirla. |
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NB: Molte note di fondo pagina sono frammiste con appunti di carattere interlocutorio, mantenuti solo in funzione di promemoria di temi o argomenti da svolgere eventualmente in seguito. Ma, a ben vedere, anche l’intero lavoro finora prodotto non è molto più che un registro di annotazioni precauzionali per l’esame di uno specifico campo: un brogliaccio.
[1] - N+1, numero 19, aprile 2006, particolarmente in pag. 27: - Tra l'altro, da questo punto di vista dev'essere integrato nel discorso sull'uomo-industria anche quello sull'arte, per millenni non distinta dalle altre attività umane e invece da un paio secoli separata, fatta vivere in un suo mondo a parte, estrema contraddizione di una società che assomma la vitalità del cervello globale alla mortifera persistenza della proprietà locale, privata. Se l'industria è la natura antropologica dell'uomo, tutta la produzione artistica non è qualitativamente diversa. Tant'è che le società antiche usavano lo stesso termine per indicare il complesso della produzione umana, téchne per i Greci, ars (artis) per i latini, voce quest'ultima dall'etimologia complessa, risalente ad armus, articolazione del braccio (greco: harmòs), per cui, guarda caso, abbiamo arte, arto, armonia, arma, arnese. Marx ci ricorda che non si può fare distinzione ideologica fra quelle che sono ancora le "forze essenziali dell'uomo" e un'industria creduta puramente strumentale, trattata con criteri di semplice relazione esteriore, utilitaristica in senso banale, perché industria e arte sono la stessa cosa, hanno partecipato come spinta unitaria alla formazione della nostra specie. Se si chiama industria un deposito di pietra scheggiata in una caverna è semplicemente ridicolo chiamare in altro modo, cioè arte, i dipinti che ne ornano le pareti, e religione le tracce di attività rituale che accompagnano entrambi... Togliere la conoscenza dalle grinfie del Capitale, questo è il vero problema. [2] - Ibidem. [3] - Prima che l’opera d’arte potesse riprodursi tecnologicamente - come titola il famoso testo di Walter Benjamin - l’opera d’arte ha dovuto prodursi e riprodursi come merce. [4] - Marx, Lineamenti fondamentali per la critica dell’economia politica, ed. La Nuova Italia, Firenze 1968, pag. 7. [5] - Karl Marx, Il diciotto Brumaio, Roma 1896, Reprint Feltrinelli, pag. 11. [6] - Ibidem, pag. 13. Nel nostro caso, ci sarebbe cioè da chiedersi se dopo i suoi primi lavori degli anni 80, che forse in qualche modo evocavano lo spirito di una “rivoluzione artistica” (come quella attuata dall’umanesimo quattrocentesco e consolidata dal Rinascimento), Bill Viola continua ad animare di questo spirito i suoi lavori più recenti o si è abbandonato alla semplice reminiscenza del passato dell’arte. (vedi citazione successiva). [7] - E’ messa in atto e in mostra, una “indifferenza” sulla quale riflettere meglio in seguito. Al proposito annotiamo due passaggi. - “Del tutto indifferenti, quindi al loro naturale modo d’essere, senza riguardo per la natura specifica del bisogno per il quale esse sono valori d’uso, le merci si sovrappongono in quantità determinate, si sostituiscono una all’altra nello scambio, sono considerate equivalenti, e insomma, nonostante il loro aspetto variopinto rappresentano la stessa unità”. ( K. Marx, Per la critica dell’economia politica, op. cit. pag. 39). - D’altra parte, quest’astrazione del lavoro in generale non è soltanto il risultato mentale di una concreta totalità di lavori. L’indifferenza verso il lavoro determinato corrisponde a una forma di società in cui gli individui passano con facilità da un lavoro ad un altro e in cui il genere determinato del lavoro è per essi fortuito e quindi indifferente. Il lavoro qui è divenuto non solo nella categoria, ma anche nella realtà, il mezzo per creare la ricchezza in generale, e, come determinazione, esso ha cessato di concrescere con gli individui in una dimensione particolare. (K. Marx, Lineamenti..., op. cit. pag. 31-32). Su questo specifico punto dell'indifferenza in arte, siamo stati sicuramente letti ma non citati - ovviamente assieme a Marx che ne è l'ispiratore (cfr. HDS-Maroquineries, 2010, particolarmente nel paragrafo Scarpe e mutande). L'omissione è significativa e ci fa piacere, come ogni altra implicita capitolazione del pensiero borghese. [8] - Louis-René Nougier, L’arte della preistoria, edizioni TEA, Milano 1994, pag. 110 segg. Prima edizione, UTET del volume La preistoria, appartenente alla Collezione Universale dell’Arte, Torino 1982. – L’autore qui discrimina gli artefatti ordinari, domestici, dalle opere d’arte, poiché ciò che intende trattare è, appunto, l’arte della preistoria... come una produzione differenziata dall’intera industria dell’uomo preistorico. [9] - Marx, Per la critica dell’economia politica, ed. Newton Compton, Roma 1972, pag. 32. [10] - Tipo: “L'intera produzione "artistica" delle società antiche in realtà non era considerata tale, con il significato odierno, ma espressione corrente dell'industria contemporanea, espressione della natura umana.”- N+1, n. 19 cit. [11] - Non è qui il caso domandarci se o quanto generati o connessi direttamente con la famigerata difficoltà della sottomissione sostanziale dell’arte al capitale (dato che la sua sottomissione formale è indiscutibile). |
[12] - Denys Riout, L’arte del ventesimo secolo (Gallimard 2000), Giulio Einaudi edit., Torino 2002.
[13] - Vi starete chiedendo il perché F.J.H. Kracke, il doganiere della nostra storia, si prenda la briga di giudicare o meno un’opera d’arte. Il fatto è che in quel periodo negli Stati Uniti è in vigore il Tariff Act, una legge del 1922 che prevede l’esenzione fiscale (duty free) per le opere d’arte. Lo zelante funzionario, dunque, non essendo d’accordo nel considerare quella strana cosa trovata nella valigia di Brancusi come un’opera d’arte, decide di classificarla nella categoria “Kitchen utensils and hospital supplies” (arnesi da cucina e supporti da ospedale). Per Brancusi questo comporta una tassa salata da pagare, quella prevista dal paragrafo 399 per l’importazione di manufatti di metallo: il 40% del prezzo di vendita, ossia 240 dollari dell’epoca corrispondenti a circa 2.400 attuali. Insomma se Brancusi non ci resta proprio bene, immaginatevi Duchamp, che aveva accompagnato per nave lo scultore e che era arrivato ad esporre nove anni prima un vero orinatoio in porcellana. Brancusi e Duchamp all’inizio rifiutano categoricamente di pagare l’ammenda ma alla fine devono cedere. Tuttavia non finisce lì. Decidono infatti di far causa al governo degli Stati Uniti. La causa durerà due anni. [14] - Denys Riout, L’arte del ventesimo secolo, cit. [15] - I testimoni governativi affermano che la scultura è too abstract (troppo astratta) ed è un abuso delle forme. Nel controinterrogatorio, l'avvocato Speiser chiede allo scultore Robert Aitken (esibendo la scultura): «Mr. Aitken, mi direbbe perché questa non è un'opera d'arte?», e Aitken: «Prima di tutto perché non è bella e poi non mi piace". I legali di Brâncusi sostengono che la scultura è un'opera d'arte originale, argomentando dalla legge sul copyright; affermano che il loro assistito non l'ha prodotta for a profit (esibendo una lettera di Brâncusi a Duchamp anteriore alla mostra, dove lo scultore scrive di aver rifinito l'oggetto by hand, cioè con le proprie mani). Ma questo non fa ancora di Brâncusi un artista agli occhi dei legali governativi, né dell'oggetto una scultura, perché nel Tariff Act del 1922, che dispone l'esenzione dal dazio per le opere d'arte, manca un criterio giuridico per individuarle e dunque i giudici devono fare ricorso ad elementi eterointegrativi. Il 26 novembre 1928 i giudici annunciano il loro verdetto assolvendo Brancusi, dichiarando: “L’oggetto considerato […] è bello e dal profilo simmetrico, e se qualche difficoltà può esserci ad associarlo ad un uccello, tuttavia è piacevole da guardare e molto decorativo, ed è inoltre evidente che si tratti di una produzione originale di uno scultore professionale […] Accogliamo il reclamo e stabiliamo che l’oggetto sia duty free”. Così commentano la vicenda con la stampa: “Che abbiamo o no simpatia per le idee nuove o quelli che le rappresentano, pensiamo che la loro esistenza e la loro influenza nel mondo […] vada presa in considerazione”. Il pragmatismo americano si manifesta anche con questo tipo di decisioni. F.J.H. Kracke, il doganiere della discordia, tuttavia, non è dello stesso avviso, e in un’intervista all’Evening Post dichiara: “Se quello dice di essere un artista, io sono un muratore!”. [16] - Denys Riout, op. cit. [17] - Questa ipotesi della concorrenza commerciale come spinta per la moltiplicazione delle forme ecc. (vedi qui anche § Separazioni), potrebbe essere connessa con l’ipotesi del modello di “sperimentazione e decimazione” proposto da Gould per le forme anatomiche diversificate di alcune faune primordiali, che raggiunto un picco esplosivo subiscono una improvvisa decimazione ecc. (vedi materiali § L’arte e l’immagine, Arte 1 prima parte); ma anche con l’esaurimento di risorse di una società che sviluppa tutte le forze produttive che essa è capace di creare prima di scomparire (Marx, Per la critica..., - vedi qui la citazione della nota 51). [18] - A questo punto dovremmo aprire l’intero capitolo sull’immagine ma estraiamo un brano solo come promemoria: .. Potrebbe anche essere discutibile parlare del periodo attuale come di una epoca della civiltà dell’immagine - cioè di un’epoca particolarmente segnata da una svolta iconica dopo quella linguistica - quando semmai siamo in presenza di una più intensa variazione inflattiva di tutti i mezzi di comunicazione fonetica e iconica; è però innegabile che stiamo vivendo una fase della modernità nella quale lo sviluppo planetario dei sistemi di informazione ha portato alla creazione di nuove forme di visualizzazione e di esperienza visiva, a nuovi usi sociali dell’immagine, a nuovi contegni critici, di fiducia o diffidenza, verso le funzioni conoscitive o testimoniali delle immagini in generale. In questi ultimi decenni la tecnologia ha offerto alle immagini i mezzi e i modi di replicarsi e ampliato le occasioni in cui, volenti o nolenti, siamo chiamati ad assumere il ruolo di spettatori delle loro fantasmagorie visuali, impastate e impestate con tutta l’ideologia che emana da questa come da ogni altra manifestazione sociale della società capitalistica... [19] - Parafrasi da Sismondi “Il commercio ha separato l’ombra dal corpo e ha introdotto la possibilità di possederli separati” (citato da Marx nei Grundrisse). Vedi qui, oltre. [20] - Cioè, lo spettacolo orientato all’intrattenimento per svago e diletto di un pubblico... Ma, a ben considerare, il termine generico non dovrebbe associarsi sempre ad un giudizio svalutativo o spregiativo - per evocare i quali viene invece a volte utilizzato... |
IMMAGINI Colonna 1, dall'alto:
[F01] - Locandina della mostra con una immagine tratta dal video Emergence (2002) di Bill Viola, ispirato ad un affresco di Masolino da Panicale del 1424, staccato dalle pareti del Battistero della Collegiata di Empoli. [F02] - Scritta sui muri d'ingresso del palazzo Strozzi. [F03] - Constantin Brâncusi, Bird in the Space (1923), bronzo 1,37 m x 22 cm x 16 cm. |
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